L'inverno più nero
Carlo Lucarelli

da: Il Libraio

“Ma soprattutto, a voi che dite sempre di essere un poliziotto, questo caso vi darebbe l’occasione di decidere che poliziotto volete essere.”

Bologna, dicembre 1944. L’Italia è spezzata in due da oltre un anno, e l’opulento capoluogo emiliano si prepara all’inverno più duro, tra cumuli di macerie, legioni di sfollati, animali da cortile legati sotto i portici e una guerra quotidiana e assai poco civile tra fascisti, nazisti, partigiani e criminali. Il commissario De Luca, passato quasi a forza tra le fila dei “cattivi” dopo la caduta del Partito e la nascita della Repubblica di Salò, è ormai più uno sbirro che un poliziotto (parole sue), costretto a compiti di bassa manovalanza sotto il comando cinico e opportunista di un piccolo Duce.

Un’esistenza grigia e mal tollerata che d’un tratto conosce una svolta, anzi tre: un omicidio per gelosia, un tedesco morto in una pozza e un fantomatico Notaio che va trovato ad ogni costo, perché è lui, a quanto pare, il capo della Resistenza. E così, mentre la città si misura come può con freddo e fame, per il detective infallibile che sonnecchiava dentro De Luca sboccia una sorta di primavera. La guerra, dicono, è ormai prossima alla fine. Tempo di resa dei conti – con gli altri, ma soprattutto con se stessi.

Nuovo episodio della via crucis del commissario De Luca – perché chiamarla carriera sarebbe sminuente, queste sono stazioni di una lenta e dolorosa processione – L’inverno più nero (Einaudi Stile Libero) di Carlo Lucarelli non è il più fluido da leggere, con quella scrittura densa, materica, che alle volte sembra affannarsi tanto quanto il protagonista, ma di certo, fin qui, è il più potente. Sarà per l’immagine inedita di una Bologna-serraglio, con teatri scoperchiati come vecchie dentiere, appartamenti patrizi sospesi nel tempo e palazzi universitari trasformati in centri di tortura, tutte gemme riportate alla luce da uno scrittore che sa dove scavare (e qui la bella postfazione spiega anche come, con generosità).

Sarà per la maestria dell’intreccio, che lega insieme ben tre casi e li mantiene sempre chiari e diritti nella mente del lettore nonostante le realistiche contorsioni dell’indagine. Sarà infine per il talento di Lucarelli nell’insufflare vita nei suoi molti personaggi, scegliendoli con gusto da un repertorio di facce e caratteri che pare infinito, e tratteggiandoli con poche frasi, pochi tic, a volte solo un accessorio.

E così basta un nulla per vederli e affezionarsi: Petrarca e le sue scarpe bicolori, quasi un correlativo oggettivo; Sandrina dalle braccia robuste che non digerisce la vegetina; l’Uomo più ricco di Bologna, col suo nome prezioso; il recluso che sopravvive spiando il mondo da un buco; il tenente SS preso in giro per il cuore tenero; la moglie che tutti desiderano ma desidera altro; e ancora la Vilma, un’invenzione felliniana, e il Dentista, che gli americani direbbero larger than life ma purtroppo sappiamo essere esistito per davvero, lui e gente come lui, in ogni luogo e in ogni tempo.

Infine c’è De Luca, uno dei personaggi più affascinanti della narrativa italiana (non gialla, non noir: narrativa punto e basta). Qui siamo agli sgoccioli del suo cammino infernale, di investigatore infallibile in tempi compromessi al quale non stanno tanto a cuore né gli uomini né la giustizia, ma piuttosto far tornare i conti: riallineare gli ingranaggi dell’orologio, che tutto giri senza attriti e non si senta un cigolio. De Luca, per la sua ossessione del caso, farebbe qualsiasi cosa, e in passato, lo sappiamo, ha perso molto più di quanto ha guadagnato. Sappiamo anche che alla guerra, nonostante non mangi, non dorma e si procuri nemici su nemici, finirà per sopravvivere, e nemmeno troppo male. Ma i suoi patimenti, i suoi sensi di colpa, la sua continua frustrazione, unita alla ricerca di un pareggio impossibile, hanno una forza superiore proprio per questo: perché non sono legati solo a un’epoca, di cui pure lui è specchio fedele, ma a tutti i tempi, a tutte le temperie. De Luca non è un eroe, fa solo ciò che deve, però è un uomo morale, di una morale – scomodando Nietzsche – inattuale. Per questo il lettore può rimanere sconcertato dalle sue scelte, può disapprovarlo e persino odiarlo qua e là. Ma nel suo essere gettato in un mondo confuso e spaventoso, in balia di scelte senza punti di riferimento che a volte sa sbagliate nel momento stesso in cui le abbraccia, noi non possiamo che ritrovarci. Perché De Luca è un eroe difettoso, sì, ma come siamo difettosi tutti.

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